16-2-2019: PASSEGGIATA ALLA ROGGIA ROSSA(di M.M.-socia)

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Oggi per me è la prima uscita dell’anno con la via Francigena. È una giornata serena di mezzo inverno, il cielo è azzurro, appena velato da un po’ di foschia.
L’appuntamento è al “gabbiotto” (nomignolo affettuoso) della sede, nel primo pomeriggio.
C’è parecchia gente, molti volti nuovi.
Ivrea è bellissima vestita a festa per l’imminente Carnevale: vie e piazze sono allegramente ingentilite da stemmi e bandiere.
Una pantera incoronata troneggia al centro della rotonda di Porta Vercelli.
Ci incamminiamo verso la passerella lasciandoci alle spalle l’edificio ex cinema Sirio. Anche qui, zona di tiro della Pantera, la squadra vuole attirare l’attenzione: una pantera beffarda riceve l’omaggio delle altre squadre di tiratori inginocchiate ai suoi piedi.
La lunga fila dei camminatori si allunga allegra e colorata.
La Dora è in magra, sull’acqua limpida galleggiano alcuni germani reali e un piccolo stormo di gabbianelli.
Costeggiamo il fiume e il coreografico stadio della canoa come sempre mi lascia ammirata
Qui l’acqua scende impetuosa, le canoe in allenamento attirano l’attenzione di chi passa. La città di fronte a noi è colorata, festosa. In questo momento è davvero “Ivrea la bella” cantata da Carducci e mi viene voglia di paragonarla alla Siena del palio con i quartieri vestiti a festa.
Dopo l’ostello, per risalire verso il Borghetto passiamo vicino al ponte ferroviario e percorriamo un vicolo che fu il teatro di un avvenimento che ha segnato la storia della città. È qui infatti che si ritrovarono i partigiani quando nella notte tra il 23 e il 24 dicembre 1944 fecero saltare il ponte utilizzato da tedeschi e fascisti per il trasporto del materiale bellico, che gli alleati erano pronti a bombardare, incuranti del fatto che avrebbe coinvolto l’intero centro abitato.
Spericolati e sprezzanti del pericolo come solo i giovani sanno essere i partigiani riuscirono nell’attentato e Ivrea fu salva.
Tra i vicoli e la piazzetta del Borghetto molti volontari stanno portando a termine le decorazioni carnevalesche.
Noi superiamo l’arco e subito siamo lungo l’argine del fiume.
Qui la prospettiva cambia, il muraglione e il terrapieno eretti dopo la rovinosa inondazione del 2000 dominano il paesaggio e impieghiamo alcuni minuti per orientarci: di fronte a noi il Crist con le sue ville nascoste dalla vegetazione, alla nostra sinistra monte Ferrando.
Le montagne all’orizzonte sono cancellate dalla foschia.
In uno slargo, dove troneggia un inquietante sepolcro retaggio di un film dell’orrore girato anni fa nelle vicinanze del castello di Montalto, c’è una vasta, pianeggiante area di sosta con tanto di tavoli e panche che dev’essere delizioso frequentare durante la bella stagione.
Amedeo, con la solita arguzia, illustra la passeggiata, fornisce punti di riferimento, racconta la truculenta storia del castello di Banchette sede, si dice, del fantasma di un gentiluomo trucidato dal gelosissimo fidanzato della Castellana. La storia fu tragica non solo per l’ucciso che pare frequenti la biblioteca passando non attraverso i muri,
ma più civilmente attraverso le porte.
La ragazza si chiuse in un convento e l’assassino fu immediatamente scoperto e giustiziato perché aveva lasciato il suo pugnale nel corpo della vittima.
Deliziose queste storie!
Riprendiamo la passeggiata. Mi piace molto camminare così tranquillamente, chiacchierando ora con l’uno ora con l’altro, conoscere nuove persone.
È incredibile come sia facile instaurare rapporti in questi cammini, come si sia propensi a confidarsi con persone non conosciute prima, come si scoprano cose nuove e angoli mai visti nei luoghi che frequentiamo da sempre.
La temperatura è piacevole con questo timido sole invernale che non è ancora riuscito a sgelare completamente il sentiero e in breve tempo siamo a Banchette.
Costeggiamo un’ampia area golenale, il parco in cui scorgiamo i resti delle mura che proteggevano il castello, nato nel XIV secolo come casaforte.
Al termine dell’argine scendiamo verso l’area chiamata della “roggia rossa”, sede di un parco.
Alcuni cartelloni illustrano le caratteristiche della zona, la flora e la fauna locali.
Amedeo racconta di esserci venuto in esplorazione nei giorni scorsi e di aver avuto notizia che durante l’inverno un lupo, proprio qui, avrebbe ucciso una pecora della quale lui ha visto sul sentiero la pelle.
Troviamo un corso d’acqua: è la roggia, un tempo chiamata Dora rossa, che è un affluente del fiume omonimo.
Scende dalla Valchiusella, dalla zona di Brosso, dove un tempo c’erano miniere e fornaci e deve il suo nome alla presenza di residui ferrosi che pare dessero colorazioni rossastre all’acqua.
E qui svelo uno scoop: la roggia non è rossa, per lo meno non adesso, non più, forse per la scarsità d’acqua, forse per l’esaurimento del minerale.
A noi non importa; la passeggiata è piacevole anche se la vegetazione è ancora brulla e l’unico verde è rappresentato dalle edere che soffocano alcuni alberi.
Tra l’erba secca numerosi cilindri di rete proteggono piccoli alberi piantumati lo scorso anno lungo i sentieri che attraversano il parco.
Lungo la Dora il terreno è di sabbia che si sfarina tra le dita e scopro che non è adatta per i lavori edili. Io credevo che così raffinata fosse l’ideale.
Un sentiero che pare un viale si snoda tra alberi maestosi che non riusciamo a riconoscere vuoi per la mancanza di foglie vuoi per la corteccia, rugosa e spessa nel tronco imponente, liscia e sottile nei rami. A me piace pensare che siano pioppi bianchi perché sono vicini all’acqua, come mi piace vedere i fori perfettamente rotondi lasciati dai picchi.
Qua e là, tra gli alberi, le radure ora incolte dove viene coltivato il mais rosso vanto di Banchette, che ora non si può più chiamare pignoletto dato che il nome è stato rivendicato in precedenza da un’altra zona.
Incontriamo nuovamente la roggia e ci avviamo al ritorno.
Uno sguardo dalla chiesa verso la piana, i commenti, il riconoscimento di una torre, di un paese, la lentezza piacevole di una passeggiata rilassante, tutto è servito a rendere piacevole la camminata.
È ancora chiaro quando arriviamo in città.
Riattraversiamo i luoghi storici con una consapevolezza nuova.
La fila colorata dei camminatori si sfalda nel ritorno; i commenti si intrecciano alle risate
I saluti sono allegri, calorosi.
È facile immaginare che ci ritroveremo presto.

M.M.

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