Ivrea


Arte, storia e cultura: la Via Francigena a Ivrea

Attraverso boschi collinari saliamo verso la piccola Cappella di San Pietro Martire ed entriamo nel territorio di Ivrea.

Scendendo verso la città si intravede il Lago Sirio (0,315 Kmq.) il più grande del complesso dei cinque laghi, dei quali abbiamo già incontrato il Lago Pistono, gli altri sono : il Lago Nero, il Lago San Michele e il Lago di Campagna, alcuni dei quali incontreremo in seguito.

Percorriamo l’antica Via Sant’Ulderico che ci porta all’ingresso della Città d’Ivea, l’antica “Yporegia” poi Eporedia.

L’origine dell’antico nome deriva dalle popolazioni Celtiche che abitavano la zona prima dell’invasione romana, tesa ad assicurarsi il dominio dell’area pedemontana e quindi il controllo dei valichi alpini. Nel tentativo di conquista del territorio i romani subirono una prima dura sconfitta a dimostrazione del valore delle fiere popolazioni Celtico-Salasse che la abitavano. Dopo vari tentativi, pur senza riuscire a dominare completamente le popolazioni locali, nell’anno 100 a .C. fu istituita la colonia romana di Eporedia.

Successivamente la caduta dell’Impero romano di Occidente, iniziarono le invasioni e dominazioni barbariche e la città venne inclusa in uno dei Ducati Longobardi della regione pedemontana che comprendeva anche la Diocesi di Vercelli.

Subentrato il dominio dei Franchi, Ivrea fu sede di contea come appare in un capitolare dell’Imperatore Lotario I° risalente all’anno 825.

Verso la fine del IX sec., tramontata l’età Carolingia, la Marca di Ivrea fu assegnata ad Anscario I° che diede inizio alla dinastia Anscarica del X Secolo.

La configurazione marchionale del territorio raggiunse così la sua definitiva espressione per poi interrompersi con l’ascesa di Arduino.

Accanto alla figura, per molti versi misteriosa e leggendaria, di Arduino venne a stagliarsi quella altrettanto emblematica del Vescovo Eporediese Warmondo, uomo colto ed energico della famiglia degli Arborio.

All’inizio dell’anno Mille con la scomparsa di Arduino si perde ogni traccia della Marca d’Ivrea che viene ridimensionata tra gli eredi dello stesso i quali praticarono una politica di aperta opposizione verso le grandi Casate Imperiali straniere.

Nel 1026, Corrado di Franconia il Salico espugnò la città e nel corso del restante XI sec. si vide il consolidarsi del Potere Episcopale.

Nella seconda metà del XII sec. si susseguirono una serie di guerre con la città di Vercelli per i ripetuti tentativi di espansione di quest’ultima e per i contrasti sui pedaggi relativi alle merci provenienti d’oltralpe attraverso la Valle d’Aosta.

Federico Barbarossa, con la politica tesa a restaurare in pieno l’autorità Imperiale, insediò nel castello d’Ivrea il marchese Ranieri di Biandrate.

Dal contrasto violento che questi ebbe con le forze Vescovili e Comunali, nacque tra il 1193 e il 1195 una sollevazione popolare che portò alla cacciata del Biandrate e alla distruzione dell’antico castello di San Maurizio.

Dal Duecento si registra il consolidarsi dell’autonomia del Comune e la promulgazione delle Leggi Statutarie.

Nel 1266 Guglielmo VII° di Monferrato riesce ad ottenere la dedizione della città, nel 1271 la Signoria Monferrina è brevemente interrotta dalla dominazione del Re di Sicilia Carlo d’Angiò.

Il ritorno degli Aleramici durò ancora fino al 1313, quando la Città giurò fedeltà alla Casa Savoia.

Nel 1357-58 Amedeo di Savoia, unico incontrastato signore di Ivrea, dava inizio alla costruzione del nuovo importante castello affiancato ai precedenti centri di potere: la Cattedrale, il palazzo Vescovile e quello Comunale.

Nel XIV sec. i Savoia, dopo le estenuanti lotte per il consolidamento del potere dovettero affrontare la grande sommossa popolare del Tuchinaggio che insanguinò le terre canavesane e che si concluse proprio a Ivrea nel 1391 con la convenzione voluta dal Conte Amedeo VII° di Savoia conosciuto anche come “Conte Verde”.
Con questa vicenda si chiudeva per Ivrea l’età aurea della sua storia, nei secoli successivi si fece sempre più evidente la sua dimensione provinciale.

Entriamo ora nella città dall’antica porta di accesso per chi proveniva da Aosta, la porta “Fontana”, e imbocchiamo la vecchia via Palma di Cesnola, antico “Cardex Maximum” della città romana.

Da questa risaliamo su un’antica rampa selciata che porta alla piazza del castello, fatto erigere, come già detto dal Conte Verde nel 1358.

La fortezza aveva soprattutto scopi difensivi, sorge infatti nella parte alta della città in posizione strategica.

Per edificare il castello fu necessario spianare parte della zona interessata e furono quindi abbattute alcune case signorili ed edifici religiosi, i lavori si conclusero tra il 1393 e il 1395.

Nel 1676 un fulmine colpì la ”torre mastra”, adibita a polveriera, lo scoppio causò la morte di un centinaio di persone e lesionò gravemente il castello; le mura ai lati della torre furono squarciate in parte e i camminamenti di ronda distrutti, la torre stessa rimase mozzata.

A partire dal XVII sec. il castello ebbe un utilizzo prevalentemente militare e cominciò a subire le prime modifiche per ospitare prigionieri di guerra.

Dal 1700 al 1970 fu poi utilizzato come carcere criminale e politico subendo per questo profonde trasformazioni fino a rendere l’interno irriconoscibile rispetto alla costruzione originale.

Lasciando il castello ci avviamo verso il Vescovado di cui non si conosce con esattezza il periodo di costruzione, certamente le sue origini sono quindi molto antiche. E’ infatti, opinione degli studiosi che fosse già dimora del Vescovo Warmondo nel X sec. o addirittura antecedente.

Il palazzo è oggi un insieme di edifici di diverse epoche e forme creatosi nel tempo con aggiunte e modifiche. Sono comunque ancora presenti caratteristiche architettoniche che si possono attribuire al Medioevo, innanzi tutto la torre detta “Torre del Vescovo” che si erge di alcuni metri oltre il tetto, un tempo certamente merlata conserva particolari decorazioni in cotto.

Nella piazza selciata vicino al Vescovado troviamo la Cattedrale di Ivrea fatta costruire da Warmondo probabilmente su una chiesa preesistente risalente al IV sec..
Secondo la tradizione, in epoca romana sorgeva nello stesso luogo un tempio dedicato ad Apollo.

La Chiesa a tre navate conserva, malgrado i molti rifacimenti avvenuti nei secoli, numerose parti che risalgono alla Cattedrale di Warmondo, in particolare l’abside semicircolare e i due alti campanili a forma quadrata tipicamente di architettura romanica.

I due torrioni sono molto simili tra loro ma non identici, sono suddivisi in riquadri sovrapposti con fregi e archetti pensili, nella parte superiore su ogni lato si aprono bifore e trifore.

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